Cefalù (Pa) – “Il piatto d’oro di Athena” e “Arrubbaru o’ presepio”, romanzi entrambi licenziati alle stampe per i tipi di Amazon Italia Logistica S.r.l., rappresentano il pregresso, la radice, la placenta, l’antecedente tematica che dà il là all’attuale apprezzabile opera “Il Principe di Trabia, il suo Stradivari e la Targa Florio del 1922”; un palinsestoitinerante, insomma, un indubbiocorollario dei precedenti, quest’ultimo, culmine e vetta di una encomiabile trilogìa che ruota intorno a deprecabili furti, alla fine, comunque, fortunosamente sventati.
Questa recente fatica promana dalla facondia e dalla passione che nutre il talento di Mariano Barbàra, dottore in Legge e già capace militante fra le fila del glorioso Banco di Sicilia (ahimé ormai assorbito da un Istituto di più alta dimensione digitale), nonché esperto documentarista, storiograficamente votato alla didattica, divulgatore di vicende, di personaggi noti e non, di fatti, di accadimenti, di sciarade, che, nella tradizione o nell’odierno vissuto civile hanno fornito e forniscono un consolidato clamore e per la loro indiscussa valenza culturale che come darsena di interessanti obsoleti memorabili eventi.
Ricordiamo a tal proposito che, ciclicamente nel tempo e in video, e spaziando da un argomento all’altro, il nostro Barbàra, con delle originali trasmissioni sue proprie in un canale privato, ha proposto argomenti, fatti e personaggi commentandoli con estrema acutezza e presentandone interessanti dettagli spesso non conosciuti.
Così, per citare alcuni titoli di queste sue nutrite performances televisive: “Gli ex voto del Santuario di Altavilla Milicia”, “I Crocifissi di Frate Umile da Petralia”, “Le antiche ceramiche di Collesano”, “Il Beato Agostino Novello nell’arte”, “Franco D’Anna … Cefalù nel cuore”, “Dominique Vivant Denon”, gli scultori “Benedetto e Pasquale Civiletti”, “Ettore De Maria Bergler”, il paesaggista “Francesco Lo Jacono”, “Pippo Rizzo”, “Il ponticello medievale sul torrente Barratina”, “Termini Imerese, Isola delle Femmine”, “Sofonisba Anguissola”, “Il tripudio della pittura femminile”, “La storia del gelato”, “La verità sepolta di Anselmo Madeddu”, “Caravaggio in Sicilia”; sino ai più recenti: “I pranzi del Gattopardo”, “La Madonna della Milicia”, “La vecchia dell’aceto”, “Patri Masinu”, Tommaso Giunta e il suo tempo”, “Le donne di Giovanni Boldini”, “Il Principe Nero di Palermo”.
E ben altri.
Pittori, scultori, scrittori, pensatori e quant’altro, d’oggi e di ieri, in una sapida caleidoscopica mescolanza che immette il fruitore in una dimensione sicuramente onirica altamente espressiva e di sicuro impatto culturale.
Avrò rischiato di essere stato prolisso nell’elencarne tante di queste sue trasmissioni, ma avrei potuto continuare ad libitum, attesa la consistente massa di produzioni che hanno visto la luce attestando la stragrande valentìa dell’Autore profusa dal suo multiforme ingegno.
Il genere dei tre testi letterari sopra elencati, con particolare riferimento all’ultimo, “Il Principe di Trabia, ecc …..”, è quello del giallo/poliziesco; espressione linguistica, questa, che una volta veniva definita “di genere”, considerata come un’accezione negativa, cioè, in quanto meramente ritenuta prodotto di consumo di basso livello culturale e, in quanto tale, necessariamente di seconda categoria se paragonata ai classici.
Ma nel nostro Autore è basilare notare lo studio dei caratteri dei personaggi che mette in campo con la precipua convinzione che non ci si può occupare del crimine senza tener conto della psicologìa dei vari soggetti presentati; fornendo in siffatto modo un misto, se vogliamo, di indagine intimista portata avanti da vari Sherlock Holmes in erba pur gravitanti in tutt’altre attività e dimensioni sociali.
E’, infatti, interessante notare nell’economia dell’epico racconto la fondatezza del pensiero analitico/logico adottato dal Don Pietro Lanza, Principe di Trabia, personaggio chiave nella focalizzata vicenda; disegno messo in atto per risolvere l’enigma del furto determinatosi e ricercarne le motivazioni e le pulsioni, conscie od incoscie che siano, che abbiano potuto spingere il “ladro” a commettere il crimine.
Così com’è pure interessante notare, come poi, alla fine, tale sistema d’indagine si sia dimostrato efficace a risolvere il caso rivelando una situazione impensabile e, forse, allo stesso tempo, incredibilmente grottesca.
Inoltre, con questo terzo libro, scaturito dalla fervida immaginazione marianiana, il Nostro ha elegantemente smentito il mirabolante concetto che promana dalla fatidica filosofica frase di aristotelica memoria che testualmente recita: “Tertium non datur”.
Infatti il “tertium”, nel nostro caso questo terzo romanzo dall’altisonante titolo che riecheggia un personaggio storico, un suo preziosissimo strumento misteriosamente scomparso ed una gara automobilistica di risonanza mondiale (la famosa Targa Florio del 1922) avvenuta nella nostra rinomata Sicilia, è nato ed ha spiccato il volo librandosi con eleganza nel ceruleo empireo della nostra più nobile letteratura isolana.
E, se vogliamo dirla tutta¸ il testo, come assume lo stesso Autore con spirito di acuta osservazione, delinea “ … un viaggio nell’Italia degli anni ’20 del secolo scorso in una Sicilia vivace e aristocratica e le emozioni della celebre corsa automobilistica che si snoda sulle strade delle Madonie …” (sic); strade impervie ed infide, aggiungo io, connotate da tornanti repentini e tortuosi che costeggiano gole profonde e scoscese ed alture rocciose dominanti.
In buona sostanza il libro prende vita e corpo e si compendia in questo scenario fantasmagorico ed eminentemente scenografico, oggi privilegiato dalle irretenti immagini che la cinematografia internazionale gli ha tributato.
Barbàra in questo testo mostra una profonda conoscenza dell’agonismo floriano focalizzandone la gara automobilistica che annualmente si disputa in Sicilia nel circuito madonita; ne conosce perfettamente e la storia e le tecniche di supporto che consolidano questa annuale rinomata competizione.
Io non sono molto versato, né preparato sulle corse automobilistiche; e, pertanto, ometto un mio personale qualsiasi contributo in proposito.
E poi non è casuale che la connotazione dei fatti venga racchiusa nella stessa denominazione del testo: “Il Principe di Trabia, il suo Stradivari e la Targa Florio del 1922”. La dice lunga questo titolo altamente evocativo che descrive una eletta Sicilia che non c’è più e che ha lasciato il posto a dimensioni isolane del tutto diverse e, forse, spesso meno elettive.
Certo, nel filone giallo/poliziesco, il nostro scrittore non ha disconosciuto l’apporto dei suoi precedenti illustri: Agatha Cristie, in primis, Arthur Conan Doylex, Poe, Danila Comastri Montanari, e poi ancora Geoges Simenon, Gianrico Carofiglio, Giorgio Faletti; a non voler scomodare, infine, anche Camilleri. E potrei continuare ad libitum nelle citazioni riempiendo pagine e pagine, attirandomi, sicuramente, la disapprovazione degli ipotetici lettori per la possibile scaturibile noia.
La struttura narrativa è, di norma, l’usuale: al posto del classico investigatore privato di concezione puramente americana, tuttavia, mentre nei primi due libri a condurre le fila della narrazione sono due coppie ben armonizzate: il magistrato Enzino Iraci collaborato dalla carabiniera Martha Mandalà ne “Il piatto d’oro di Athena” e il capitano di lungo corso Giovanni Scibona supportato dalla vicecommissaria Antonella Corpora in “Arrubaru o’ presepio”, in quest’ultimo lavoro (più colmo di sentimenti e di ingrovigliati accadimenti) ,“Il Principe di Trabia, il suo Stradivari e la Targa Florio del 1922”, è lo stesso personaggio chiave, il Principe Don Pietro Lanza, a tenere il bandolo del plot narrativo.
La figura del patrizio attempato signore, Lanza, la cui mentalità da detective risulta saldamente ancorata ad uno schema di natura algoritmica e che a tratti appare mostrarsi eccessivamente rigida ai fini della scoperta dell’autore del crimine e delle sue reali induttive motivazioni, intorno alla quale figura fà corona un nugolo di diversi personaggi secondari ma pur sempre importanti perché necessari ed indispensabili all’articolazione del racconto, personaggi del calibro di Vincenzo Florio, del sindaco di Trabia Gaspare Gattuccio, del conte Giulio Masetti, di Ferruccio Volpes e dei piloti, oltre allo stesso Masetti, che rispondono al nome di Ferrari, Nazzaro, Scivocci, Campari, Ascari e della bar.ssa Maria Avanzo, unica donna nella tornata del 1922 ed altri, la corposa figura del Principe, dicevo, si staglia unica e basilare in tutta la sequenza del furto del particolare prezioso vetusto strumento musicale, che, datone l’importante valore commerciale e la collocazione museale, rappresenta anche un prezioso cimelio araldico dell’isola.
Stiamo parlando di un violino Stradivari, appartenuto alla famiglia Florio e custodito nel castello di Trabia dal Principe Don Pietro Lanza, apparentemente trafugato e costantemente ricercato.
Intorno alla cui scomparsa s’interseca una congerie di fatti e di congetture determinando pensieri, convinzioni, dubbi, preoccupazioni, timori e quant’altro, arrivando persino ad una azione delittuosa, elementi palpitanti di suspense che gravitano nell’economia del racconto sino alla sua imprevista classica definizione.
Un ulteriore aspetto inerente al rapporto tra psicologìa e romanzo giallo è rappresentato dal modo in cui determinate manifestazione psichiche vengono narrate dall’Autore possibilmente influenzato dal contesto storico e socioculturale dell’epoca trattata.
Lo Stesso, infatti, dichiara che “ …scrivere questo romanzo è stato come guidare lungo un percorso tortuoso fatto di ricerca, immaginazione e passione …” (sic).
Romanzo indubbiamente interessante, sia per la storia in sé, frutto di elaborata fantasìa, che per la congerie di prestigiosi nominativi, seppure scenicamente adoperati, ma comunque realmente esistiti; romanzo dal semplice e piano eloquio che si legge con interesse e piacere sino alla sua naturale conclusione.
Il “crescit eudo” (procedendo s’ingrandisce) è esclusivamente riferito all’Autore che di romanzo in romanzo aumenta il suo karma narrativo portandolo a livelli sempre più altamente prestigiosi.
Giuseppe Maggiore