Firenze – Il globo celeste di Jodocus Hondius jr. e Adriaen Veen – Giorgio Strano – Curatore del Museo Galileo.
La produzione cartografica conobbe un intenso fervore nel primo Seicento. Le scoperte geografiche erano all’ordine del giorno e significavano la nascita di nuovi mercati e vie commerciali. Mappe e globi erano perciò oggetti ricercati, che richiedevano un costante aggiornamento. Perciò, la realizzazione e vendita di questi strumenti scientifici potevano apportare cospicui guadagni ai loro fabbricanti.
Porto vitale nelle prospettive di indipendenza politica e economica delle Province Unite dei Paesi Bassi dalla corona di Spagna, Amsterdam vide competere fra loro ben tre dinastie di cartografi: i van Langren, gli Hondt e i Blaeu. A cavallo fra Cinque e Seicento, nell’arco di circa sei anni, la competizione si tradusse nella comparsa di ben diciassette edizioni di globi, ciascuna proclamata, ovviamente, superiore a tutte le precedenti.
Nel 1611, Joost de Hondt, o Hondius (1563-1612), stabilita la preminenza sui van Langren, iniziò a lavorare a una coppia di globi – celeste e terrestre – del diametro di 21 pollici (53,5 cm). Dopo la sua morte, il lavoro fu completato dal figlio Jodocus Hondius “il Giovane” (1593-1629) e da Adriaen Veen (n. 1572). I fusi del globo celeste apparvero nel 1613, come indica un cartiglio con la dedica ai signori delle Province Federate del Belgio.
Il globo è costituito da 12 fusi – fasce di carta della larghezza massima di circa 14 cm – divisi in due parti ciascuno, e da due calotte circolari. Questi elementi cartografici sono applicati con precisione millimetrica sulla superficie di una sfera. Le figure delle costellazioni sono “illuminate”, vale a dire colorate, dopo il montaggio e protette da un velo di lacca. La rappresentazione cartografica è del tipo “convesso”: le costellazioni sono cioè mostrate come apparirebbero a un ipotetico osservatore collocato all’esterno della sfera celeste. Questo significa che le figure e i relativi asterismi appaiono speculari rispetto a come si vedono nel cielo notturno. La rappresentazione si rifà inoltre allo stile cartografico della dinastia rivale dei Blaeu. Compaiono tutte le costellazioni descritte da Claudio Tolomeo (II sec. d.C.) nell’Almagesto, con poche varianti; per esempio, i cheliceri dello Scorpione sono trasformati nella costellazione zodiacale indipendente della Bilancia. Si notano inoltre le costellazioni dell’emisfero australe tracciate dall’esploratore Frederick de Houtman (1571-1627). Le posizioni delle stelle a nord del tropico del Capricorno non recuperano quelle tradizionali dell’Almagesto, ma si rifanno alle misurazioni, molto più precise, di Tycho Brahe (1546-1601). Il ritratto di questo astronomo danese compare in un apposito cartiglio, a garanzia dell’accuratezza scientifica dei dati utilizzati.
Sono al momento solo due i globi celesti di Hondius e Veen del 1613 sottoposti a interventi di restauro. Fra il 1992 e il 1995, Sylvia Sumira ha lavorato al globo gravemente deteriorato dello Scheepvaart Museum di Amsterdam. Lucia e Andrea Dori hanno invece restaurato il globo del Museo Galileo. È da notare che, salvo il diametro di 53,5 cm della sfera che fa da supporto alla cartografia, la struttura interna dei due globi è radicalmente differente: due emisferi cavi congiunti nel primo caso, abbinati a un asse interno con una crociera di rinforzo; un singolo guscio sferico nel caso del Museo Galileo, abbinato a un asse semplice (Giorgio Strano – Curatore del Museo Galileo).
Giuseppe Longo