Lucca – Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani, in occasione del 28 febbraio, ricorrenza in cui è stato assassinato nel 1985 a Reggio Calabria in provincia di Crotone il vigile Giuseppe Macheda intende ricostruirne la storia attraverso l’elaborato di Giulia Vinci della classe III sez. G del liceo scientifico Filolao di Crotone.
“Giuseppe Macheda era un vigile urbano di Reggio Calabria. Aveva solo 30 anni quando fu ucciso perché svolgeva al meglio il suo lavoro. Un lavoratore onesto, diligente e motivato. Siamo negli anni ‘80, anni in cui la ‘Ndrangheta entra nell’affare dei rifiuti tossici, ma soprattutto comincia, sempre più spesso, a commettere illeciti con l’abuso edilizio in aree improprie. In questo stesso periodo per le sue ottime doti Giuseppe Macheda venne inserito in una squadra di interforze, coordinata da un maresciallo dei carabinieri, impegnata a combattere l’abusivismo edilizio. A coordinare il lavoro di questa squadra fu proprio Angelo Giorgianni in quegli anni pretore di Reggio.
Una squadra che in soli sei mesi era riuscita a sporgere più di 50 denunce. Il lavoro sembra procedere al meglio quando il 25 febbraio 1985, venne bruciata l’auto dell’agente Ferdinando Cortiglia. Un avvertimento molto chiaro da parte di chi stava ricevendo denunce. Nel pomeriggio del 28 febbraio 1985, Macheda, insieme ai suoi colleghi e insieme ad Angelo Giorgianni, partecipa ad una riunione di lavoro attuativa. È sera quando Macheda tarda un po’ più del solito nell’arrivare a casa. Le sue ultime parole furono rivolte a sua moglie, Domenica Zema, donna di cui era follemente innamorato e dalla quale a breve avrebbe avuto un figlio: “Sono arrivato, aprimi il garage”, ma a riporre quella macchina nel box non ci riuscì mai. Il suo killer lo attendeva sotto casa e, subito dopo aver riconosciuto la sua voce, sparò due colpi di fucile, che si rivelarono fatali per Macheda. Quel povero bambino è cresciuto senza una figura paterna, un padre che gli avrebbe insegnato dei veri valori, come la giustizia, l’altruismo, la serietà, il senso del dovere e la dedizione verso il lavoro che si svolge. Invece suo figlio è cresciuto con la consapevolezza che in questo mondo non c’è pietà, non ci sono leggi valide, se non quella del “comanda chi è più forte”, l’unica legge che la Mafia conosce.”
È necessario oggi dedicare un momento di riflessione nelle nostre scuole a tutte le persone che hanno subito la violenza della criminalità organizzata; sia perché molte delle vittime attivamente hanno cercato di contrastare la logica criminale; sia perché altri sfortunatamente si trovavano semplicemente testimoni inermi durante l’esecuzione di un reato.
Le loro vite spezzate dimostrano che l’illegalità comporta costi gravissimi in termini di arretratezza sociale, economica, spirituale connessa all’avanzamento delle strutture mafiose, soprattutto in contesti territoriali già gravati da uno stato di deprivazione endemica.
Da qualche tempo si sta fortunatamente assistendo a un maggiore interesse e a una più spiccata volontà di sensibilizzare l’opinione pubblica circa il valore del ricordo come forma di viatico per il ripudio di ogni forma di mentalità deviata. Soprattutto nelle scuole, la memoria deve essere rispettata e divenire la sostanza necessaria per il risveglio duraturo della coscienza civica, soprattutto fra i giovani.
Il CNDDU invita nuovamente gli studenti e i docenti ad aderire al progetto #inostristudentiraccontanoimartiridellalegalità. Gli elaborati possono essere segnalati al CNDDU che li renderà visibili sui propri canali social (email: coordinamentodirittiumani@gmail.com)
Prof. Romano Pesavento
Presidente CNDDU