Dal Lazio alla Sicilia
La Congregazione della Sacra Famiglia, conosciuta familiarmente come Collegio di Maria, fu fondata dal card. Pietro Marcellino Corradini, nato il 2 giugno 1658 a Sezze, un paese della provincia di Latina che allora contava 7.000 abitanti, per la maggior parte contadini. Fu proprio a Sezze che Corradini eresse nel 1716 il primo Collegio, essendosi reso conto che molte fanciulle di famiglie povere arrivavano al matrimonio impreparate sugli elementi basilari della fede e della morale cristiana oltre che sui doveri dello stato matrimoniale. Nel 1717 papa Clemente XI approvò la nuova Congregazione e designò mons. Corradini superiore a vita.
Luci ed ombre di inizio Settecento! Lo stesso anno in cui veniva ratificata la bontà del nuovo Istituto religioso, che avrebbe educato migliaia di ragazze (donne oneste, buone cristiane, preparate nei lavori domestici, future spose e madri esemplari), nasceva ufficialmente la Massoneria. Con tempestività non comune, nel 1738, papa Clemente XII promulgò la bolla pontificia In eminenti apostolatus specula, nella quale stigmatizzava la nuova forma di gnosi spuria, incompatibile con la Rivelazione cristiana e la dottrina dell’Incarnazione. Vale la pena ricordare qui che la religione cattolica non è neppure una religione. Essa è di per sé una fede, ricevuta con la grazia divina. È la risposta degli esseri umani che lo vogliano ad una chiamata di relazione d’amore, personale, con la Persona di Dio Padre, con la Persona di Dio Figlio, con la Persona di Dio Spirito Santo. La Seconda Persona ha assunto la natura umana per svelare l’uomo all’uomo, redimerlo dal peccato originale, sancire definitivamente che il mondo, creato liberamente da Dio, è buono per essenza e attende la liberazione dei figli di Dio.
La storia universale si compone di un’infinità di microstorie. Il fenomeno messo in moto dal card. Corradini (già dichiarato Venerabile, figura umilissima, che riuscì più volte a non farsi eleggere al Soglio di Pietro) è importante per la formazione accurata di schiere di fanciulle che, altrimenti, non avrebbero avuto né arte né parte. Il fatto davvero singolare è che il Collegio di Maria si diffuse e si radicò immediatamente in Sicilia molto più che altrove, grazie ad un saggio sacerdote siciliano, don Francesco Emanuele Cangiamila, che nel 1732 cominciò ad adoperarsi per la creazione di numerosi istituti nell’Isola. Dopo quelli dell’Olivella e del Capo, a Palermo, ne vennero aperti in poco tempo una quarantina e ben presto raggiunsero il ragguardevole numero di 108.
Quando i siciliani erano liberi
Va registrata l’accortezza di queste suore energiche e laboriose, dotate di grande buon senso, che riuscirono a sottrarsi alle mire rapaci e nefaste del Regno d’Italia, sfuggendo alle leggi eversive del 1866 con uno stratagemma, la trasformazione dell’Istituzione in Congregazione Religiosa Centralizzata.
La Sicilia del Settecento era ben altra cosa di quella asservita allo Stato Italiano (ma anche di quella villaneggiata dal cosiddetto Regno delle Due Sicilie). Innanzitutto era il Regno costituzionale più antico del mondo. Aveva bisogno di riforme, né più né meno che le altre nazioni del mondo, al passo con lo sviluppo della filosofia politica e delle tecnologie. I siciliani hanno sempre amato andare all’essenza delle cose e progredire laddove necessario, mentre diffidavano allora e diffidano ancora oggi dell’illuminismo esoterico. Un dato di cui tenere conto per non giungere a conclusioni affrettate o anacronistiche, di solito ripetute a pappagallo, è che dal Regno di Sicilia non emigrava nessuno, mentre qui immigravano in tanti proprio per la ricchezza di questa Terra. Per secoli parecchi abitanti delle rive del Lago di Como sono venuti a lavorare nelle numerose botteghe palermitane di orafi e argentieri. L’integrazione era basata su uno spirito di accoglienza proverbiale (cosa diversa dalla multiculturalità, altro stereotipo ripetuto fino alla nausea), che faceva sentire ben presto pienamente siciliano lo straniero.
La prima metà del Settecento fu piuttosto movimentata per il governo della Sicilia. Dopo il Trattato di Utrecht (1713) la corona passò a Vittorio Amedeo duca di Savoia, che si rese conto presto di avere a che fare con un Parlamento che non gli faceva sconti e con nobili più ricchi e potenti di lui. Il Savoia preferì tornare nella meno ricca ma più docile Torino. Gli subentrò l’imperatore Carlo VI d’Asburgo (III di Sicilia), ma neppure lui instaurò una grande sintonia con il Parlamento siciliano. Si arrivò quindi a Carlo III di Borbone. Questa dinastia conobbe almeno tre fasi nei rapporti con i siciliani: la prima fu molto distesa, la seconda (quella di Ferdinando III di Sicilia e IV di Napoli) un po’ ambigua, la terza (quella della instaurazione illegittima del Regno delle Due Sicilie nel 1816, nonostante nel 1815 la Sicilia sedesse al tavolo dei vincitori al Congresso di Vienna, al contrario del Regno di Napoli) di resistenza armata delle classi dirigenti siciliane al nuovo regime poliziesco.
Un caso di studio piuttosto originale
Questo è, in estrema sintesi, il contesto storico in cui visse suor Vincenza Maria Amorelli (1737-1824). A lei è dedicata l’ultima fatica di mons. Gaetano Tulipano, il quale si è avventurato coraggiosamente nell’impresa di raccogliere i documenti necessari a ricostruire una storia molto singolare. Ne è nato il volume La collegina di Sambuca, pubblicato quest’anno dall’editore Carlo Saladino. È da lì che traiamo le notizie che seguono.
L’umile ragazza del bel paese del Belìce, vicino al Lago Arancio, manifestò sin da piccola una chiamata specifica all’unione con Dio. A soli dieci anni emise il voto di verginità perpetua. A quattordici anni decise di entrare nel Collegio di Maria di Sambuca (siamo nel 1751, ad appena 35 anni dalla fondazione di Sezze). Il Collegio aveva aperto le porte alle prime suore nel 1741, per volontà del marchese Pietro Beccadelli. Dopo avere superato le tappe di novizia e di professa, suor Vincenza ricevette dalla superiora l’incarico di infermiera e poi quello di maestra delle scuole del Collegio. Dopo soli due anni in cui svolse egregiamente questi compiti, elogiata da tutti, la superiora la rimandò a casa per riguardo alla gracilità del suo corpo e per continue vessazioni diaboliche. Motivazioni alquanto misteriose, considerato che non si hanno altri riscontri.
Suor Vincenza Maria all’età di diciassette anni tornò a casa sua, facendone il suo “eremitorio”, comprensibilmente amareggiata, umiliata, delusa, confusa e con il cuore a pezzi. Divise la giornata in due momenti: il faticoso lavoro al telaio (le collegine sono state sin dall’inizio della loro storia delle vere maestre nei diversi lavori di cucito) e nell’esercizio dell’orazione. Combatté inoltre vigorosamente il demonio, che di frequente la tormentava di notte. Era molto devota di Gesù Bambino ed ebbe la grazia dell’infanzia spirituale.
A ventidue anni si manifestò una malattia che la tenne prigioniera a letto, come una martire che non rimaneva inattiva, per sessantacinque anni. Fu una richiesta dall’Alto, da lei accettata, per riparare le offese nei riguardi del suo Sposo, per la conversione dei peccatori e per la pace delle anime tribolate. Soffriva di forti dolori e ardenti febbri, mai diagnosticate da nessun medico. Le testimonianze dirette parlano invece di vari carismi: per l’utilità comune, della conoscenza del cuore, della conoscenza degli spiriti, delle guarigioni, della profezia.
La sua fama si diffuse tanto da ricevere, pare, anche la visita della regina Maria Carolina. Dopo la sua morte la sua notorietà si estese ancora di più, anche per i miracoli attribuiti alla sua intercessione, come la liberazione degli abitanti di Sambuca dal colera nel 1837. Oggi suor Vincenza Maria Amorelli è “serva di Dio”. La causa di canonizzazione procede. È possibile che il cammino verso gli altari di questa siciliana così originale conosca adesso un’accelerazione.
Un esempio attuale
Nel pomeriggio di sabato 16 settembre 2023 si è svolta la presentazione del libro di mons. Tulipano preso la sede della casa generalizia della Congregazione della Sacra Famiglia, a Palermo.
I relatori hanno sviluppato parecchi temi contenuti nel saggio. Eppure sembrava che, molto più di loro, parlassero quelle mura, così balzane rispetto a quelle erette dal Venerabile Pietro Marcellino Corradini. Eloquenti. Quasi gridando. Per qualche ragione che non conosciamo, la sede si trova da tempo in un informe pollaio di una dozzina di piani, uno degli innumerevoli condomini residenziali che hanno sfigurato e imbruttito la Conca d’Oro nel dopoguerra. Come se non bastasse, di recente è stata costruita sul retro una non chiesa che sembra una centrale elettrica. Un edificio “sacro” tipico delle bizzarrie del funzionalismo architettonico, capace di produrre fabbricati dall’aspetto quanto più possibile estraneo alla vita che vi si svolgerà dentro.
La comunità delle collegine purtroppo non ha vocazioni siciliane da decenni. Adesso arrivano dall’Africa o da altri Paesi in cui sono presenti. I tempi sono cambiati. C’è stata un’emancipazione della donna che ha reso meno attraente il ruolo di sposa e di madre, senza valorizzare appieno il genio femminile. Soprattutto l’educazione è stata strappata ai genitori dallo Stato Italiano, che ne ha preteso il monopolio sin dalle sue origini, ostacolando in tutti i modi possibili le scuole pubbliche non statali. I Governi italiani hanno gradualmente declassato l’insegnamento scolastico da educazione ad istruzione con gli esiti disastrosi sotto gli occhi di tutti. Se mai si intraprenderà un lavoro di ricostruzione del sistema scolastico e universitario, ci vorrà parecchio per ottenere i primi risultati tangibili.
Le collegine non sanno cosa fare delle decine e decine di immobili rimasti vuoti nei vari comuni siciliani. Una delle ipotesi è trasformarli in ospizi, pur non essendo questo il loro carisma. Chissà. Nel mondo attuale, così attratto da alcune professioni, potrebbero dedicarsi a trasmettere l’economia domestica (in particolare cucina e cucito) secondo modalità aggiornate. L’attività intensa di suor Vincenza Maria, nei suoi due anni all’interno del Collegio di Maria ed in quelli a casa prima di ammalarsi, è tuttora un modello ricco di spunti per una società che corre troppo in fretta verso il nulla e avrebbe un enorme bisogno di tornare a percepire il profumo intenso delle cose ordinarie fatte con amore e perfezione.
Ciro Lomonte