Monreale (PA) – Omelia dell’Arcivescovo Mons. Gualtiero Isacchi per il Mercoledì delle Ceneri.
La Quaresima tempo di conversione
«Carissimi fratelli e sorelle, è un tempo austero quello che oggi comincia: è la Santa Quaresima. È tempo di conversione.
Con il mercoledì delle ceneri inizia un percorso, un cammino. Questa celebrazione è come la porta d’ingresso di una cattedrale e introduce in un tempo di conversione in cui dobbiamo farci docili al cambiamento del cuore: come ricorda un detto estremo-orientale: «La persona che parte per un viaggio non è mai la stessa persona che torna».
Papa Francesco, nel suo messaggio per questa Quaresima 2023, ci invita a meditare il testo evangelico della trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor (Mt 17,1-9). Vangelo che leggeremo la II domenica di Quaresima. Colpisce questa scelta, perché in questo racconto vi è poco di austero. Tutto sembra risplendere: «il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce». Dal racconto di Matteo emerge un’esperienza talmente attrattiva che i discepoli proposero di restare lì: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne», generalmente non riusciamo ad essere attratti da un tempo di austerità e di penitenza. La scelta del Santo Padre, evidenzia che la Quaresima non è, anzitutto, il tempo della penitenza, del digiuno, dei sacrifici, della preghiera e dell’elemosina…, ma tempo forte di ascesi, tempo in cui contemplare Gesù trasfigurato per rinnovare la nostra ferma decisione di essere totalmente per Lui e per il Regno di Dio.
Il rito dell’imposizione delle ceneri ci richiama ad un atteggiamento austero, penitenziale, di sacrificio che è funzionale alla ascesi verso il volto trasfigurato di Gesù. Facciamo attenzione a non accontentarci della penitenza. A non pensare che “avendo fatto digiuno ho fatto tutto”, oppure che “avendo ricevuto l’imposizione delle ceneri sono a posto”.
Soffermiamoci sul gesto dell’imposizione delle ceneri. Prima del Concilio, questo gesto era accompagnato dalla sola formula: «Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai» (Gen 3,19). È l’espressione con la quale Dio, nel libro della Genesi, esprime la maledizione sull’umanità che, nel paradiso, ha peccato disubbidendo e mangiando il frutto proibito. Tale espressione, perciò, richiamava ad una necessaria mortificazione fatta di sacrifici e privazioni, necessari per pagare il prezzo del peccato.
Nella liturgia post-conciliare, si è aggiunta un’espressione evangelica. Non più una formula tratta dell’Antico testamento, non più una maledizione, piuttosto un invito a una pienezza di vita: «Convertiti e credi al vangelo» (Mc 1,15).
Mentre prima questo rito aveva un’accentuazione di sofferenza e penitenza, ora abbiamo un invito ad aderire al Vangelo che è pienezza di felicità.
Penitenza, sacrificio, mortificazione… sono vocaboli che non trovano spazio nell’insegnamento di Gesù che chiede il contrario: non voglio sacrifici ma voglio misericordia (Mt 12,7).
I sacrifici vanno nella linea di una spiritualità penitenziale, che intende l’uomo sempre peccatore, sempre colpevole, che sempre si deve purificare. La misericordia, voluta da Gesù, va in una linea penitenziale che vede l’uomo oggetto dell’amore di Dio a cui è chiesta la disponibilità a lasciarsi amare per diventare portatore dell’Amore ricevuto.
In questa linea va anche uno dei significati del gesto della cenere cosparsa sul capo che vorrei, quest’anno, proporvi. Si tratta di un significato preso dall’esperienza del mondo contadino. Fin a non molto tempo fa, i contadini accumulavano la cenere di ciò ce bruciavano e, verso la fine dell’inverno, la spargevano sui campi perché questa cenere conteneva elementi adatti a vivificare la terra, a concimarla. L’imposizione della cenere sul capo dei fedeli, richiama quel “concime” che aiuta l’uomo a far fiorire tutte le sue possibilità e le sue capacità di amare.
Comprendiamo l’intenzione dell’accorato appello con cui Paolo si è rivolto alla comunità cristiana di Corinto (e questa sera anche a noi): «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio». Non siamo noi, con i nostri sacrifici, preghiere e digiuni a realizzare la conversione e la riconciliazione, ma è Dio che ci riconcilia con il dono dell’Amore crocifisso e risorto.
A noi il compito di preparare il terreno perché il seme dell’Amore possa attecchire nella nostra vita. A questo serve la penitenza, non ad ottenerela conversione ma a renderci terreno fertile e accogliente dell’Amore di Dio.
Come ogni anno la Chiesa, nella sua sapienza, ci indica i tre pilastri della spiritualità quaresimale: il digiuno, l’elemosina e la preghiera.
Il digiuno, viviamolo come richiamo alla necessità della rinuncia. Esso ci avverte che bisogna sempre togliere qualche cosa per fare spazio, quando c’è uno – il Signore – “più importante” cui dare attenzione.
L’elemosina viviamola come imitazione di Cristo il quale, come ricorda San Paolo, da ricco che era si è fatto povero per noi, perché fossimo noi tutti arricchiti di Lui (cf. 2 Cor 8, 9). Viviamola come libertà nei confronti di ciò che possediamo e come responsabilità nei confronti dei fratelli e delle sorelle più poveri e bisognosi.
Infine, la preghiera in Quaresima, vi propongo di viverla maggiormente come contemplazione del Crocifisso. Fissiamo il Crocifisso e ci scopriremo fissati da Lui. Non nascondiamoci, in questo tempo, davanti a Dio. Lasciamoci guardare da Dio. Sentiamo per noi la domanda antica rivolta, ad Adamo diventato peccatore: dove sei? dove ti sei nascosto? (cf. Gen 3,9). Lasciamoci guardare da Cristo e rimaniamo sotto la sua Croce, perché da lì giunge il dono risanante dello Spirito Santo. Lasciamoci guardare, e scopriremo di essere noi i trasfigurati dal suo Amore.
Con le ceneri sul capo avviamoci nel cammino della Quaresima, che è cammino di ascesi e di vita. Viviamo tutta la serietà di questo tempo liturgico e abbiamo nel cuore tutta la gioia della redenzione. Guardiamo a Colui che è stato trafitto ed entriamo nelle sue ferite per avere il dono della conversione».
Giuseppe Longo