Monreale (PA) – Omelia di Mons. Gualtiero Isacchi pronunciata ieri, per la festa di San Castrense, patrono di Monreale.
«Carissimi fratelli e sorelle, celebriamo oggi la Solennità di San Castrense, patrono della nostra arcidiocesi e protettore della città di Monreale. Saluto il signor sindaco con le altre autorità civili e militari, presenti a questa nostra celebrazione.
È la prima volta che celebro questa festa. Rimango piacevolmente sorpreso del fatto che i festeggiamenti di quest’oggi si differenzino dalle modalità con cui si celebrano, generalmente, i patroni negli altri paesi della nostra arcidiocesi. Nel periodo estivo, appena giunto in questa terra, ho potuto partecipare a diverse feste patronali. Tutte caratterizzate da luminarie, addobbi, gente che accorreva da ogni luogo, persone che tornavano dall’estero per partecipare a tridui, novene e alla immancabile tradizionale processione.
Intorno a San Castrense tutto questo non c’è. È una mancanza che lascia spazio ad altri significati. Il movimento dei festeggiamenti non c’è forse perché di lui si sa poco, o forse perché le sue spoglie sono giunte in questa cattedrale come dono di nozze per il re Guglielmo II, e lui decise di renderlo patrono della città e di questa chiesa.
Nel tentativo di comprendere, ascoltando diverse testimonianze qualcuno di voi mi ha detto: “non lo sentiamo nostro”. Certo, se si avesse avuto la possibilità di scegliere un Santo Patrono, probabilmente ci si sarebbe orientati verso qualcun altro, qualche Santo più conosciuto, che abbia scritto insegnamenti importanti, che abbia fatto miracoli strabilianti… insomma più famoso e corrispondente alle nostre aspettative.
Da queste considerazioni mi pare di poter ipotizzare che San Castrense “non lo sentiamo nostro” non solo perché non lo abbiamo scelto, ma perché, come ho detto poc’anzi, è un dono.
È questo il messaggio che vorrei raccogliere da questa nostra celebrazione: San Castrense è un dono per l’arcidiocesi di Monreale; non è una scelta, ma un dono. Per tale ragione, la presenza delle spoglie di questo grande pastore deve essere per noi invito ad entrare nella logica del dono.
Se avessimo dovuto scegliere un patrono ci saremmo lasciati guidare da criteri “funzionali”: cosa ci serve? cosa vogliamo? di chi abbiamo bisogno oggi? quali parole vogliamo sentirci dire? cosa mi piace? chi, maggiormente, corrisponde alla mia sensibilità religiosa? Ma il dono disattende a tutte queste domande.
Ad esse corrisponde, invece, il regalo che è qualcosa di dovuto; che non sorprende perché è scelto da chi lo riceve; viene subito utilizzato con gioia e soddisfazione perché lo si attendeva ma, dopo un certo tempo, stanca o esaurisce la sua funzione.
Il dono, invece, sorprende perché inaspettato, non dovuto, scelto da chi lo dona, non da chi lo riceve; per tale ragione rischia di essere incompreso e sciupato perché non si sa esattamente cosa farci e, quindi, lo si potrebbe utilizzare male; il dono richiede di essere accolto (non semplicemente ricevuto) perché non risponde ad un bisogno immediato, ma aggiunge qualcosa di inaspettato alla vita di chi lo riceve, qualcosa che devi scoprire facendolo tuo, permettendogli anche di modificare i tuoi progetti.
Non è così anche il nostro essere credenti? Il nostro battesimo? La nostra vita? Non è così anche la Parola di Dio? Mai Gesù dice parole attese, sempre sorprende superando ogni aspettativa. Ripercorriamo velocemente, a mo’ di esempio, l’esperienza di Maria. Ella visse tutta la vita “conservando e meditando nel cuore”, per comprendere il significato delle parole di Gesù e dei fatti che accadevano: «concepirai un figlio … per opera dello Spirito santo»; «non sapevate che devo occuparmi delle cose del padre mio?»; «donna, che vuoi da me?»; «chi è mia madre?»; «ecco tuo figlio» … Come erano lontane queste parole da ciò che Maria si aspettava. Come sentiva misteriosi gli avvenimenti che si susseguirono dopo l’annuncio dall’angelo: la nascita in una stalla, la fuga in Egitto, le parole del vecchio Simeone, il dolore straziante sotto la croce… Le parole dell’angelo facevano presagire altro.
Immagino sia stata simile anche l’esperienza di San Castrense, quando, durante la persecuzione dei vandali, insieme ad altri sacerdoti e fedeli, dalle coste africane fu forzatamente imbarcato su una vecchia nave, senza timone né attrezzatura necessaria alla navigazione. In quelle condizioni furono lasciati alla deriva per una morte certa. Io penso che il santo vescovo avrà pregato così: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.
Non è questa l’esperienza che tutti facciamo: ciò che viviamo non sempre corrisponde a ciò che ci attendiamo. Ci sembra, persino, che la Parola di Dio disattenda le promesse di Gioia che oggi il vangelo ci ricorda.
Fratelli e sorelle, alla luce di queste considerazioni, ecco il messaggio che ci viene da San Castrense e che quest’anno vorrei raccogliere e consegnarvi come impegno: viviamo nella logica del dono. La vita è un dono, la fede è un dono, la Chiesa è un dono, i fratelli e le sorelle sono un dono, questo tempo è un dono.
Di ciò che è dono non puoi farne quello che vuoi, lo devi accogliere, scoprire, conoscere. Tutto ciò che accade va accolto e ricompreso in termini vocazionali: che cosa mi sta chiedendo Dio in questa situazione, con queste parole? È un lavoro che va ripreso giorno per giorno, che non si può dare per scontato: non basta entrare in seminario per avere le idee chiare, non basta diventare sacerdoti e nemmeno sposarsi per aver inquadrato la vita…
La vita va vissuta come occasione: ogni istante è un’occasione per crescere, per progredire nella via della santità. Il vescovo Castrense giunto, miracolosamente, sulle coste Campane comprese che il Signore lo chiamava proprio lì a svolgere il suo ministero di pastore.
Vorrei concludere richiamando le parole del profeta Isaia, che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Sono state pronunciate per i deportati a Babilonia, per gli esuli che hanno già trascorso decine di anni lontano dalla terra dei loro padri. Che hanno sopportato privazioni e umiliazioni. Un popolo scoraggiato ed angosciato che si domandava: Il Signore si è forse dimenticato di noi?
A questo popolo, nel pieno dello scoraggiamento, Isaia annuncia: «Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce, insieme esultano, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore a Sion. Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme».
Sono le stesse parole che oggi San Castrense ripete a tutti noi e all’intero Popolo di Monreale: la vita è un dono! Anche se ti sembra di naufragare nelle difficoltà relazionali, economiche e di salute, di ingiustizia e illegalità, di paura e solitudine, di indifferenza e sopruso anche dentro questi drammatici naufragi c’è sempre la possibilità di approdare sulle coste dell’Amore, della misericordia, del perdono, della conversione…
Noi, cristiani, che abbiamo accolto questa Parola, sull’esempio di San Castrense nostro patrono e protettore, siamo chiamati ad essere costa accogliente per i piccoli, i poveri, gli scoraggiati e i rassegnati. Le nostre parole e le nostre scelte devono mostrare la possibilità di una vita nuova, diversa, capace di abbandonarsi alla logica del dono.
“San Castrense, eterno baluardo della città di Monreale” sostienici in questo impegno. Amen!».
Giuseppe Longo