L’architettura della trasfigurazione

La Basilica della Trasfigurazione è una chiesa francescana eretta sulla cima del Monte Tabor, in Terra Santa. L’antica tradizione cristiana – attestata già da Origene al principio del III secolo d. C. – colloca in questo luogo l’episodio evangelico della Trasfigurazione di Gesù Cristo, festeggiata il 6 agosto.

Fin dall’Ottocento furono intrapresi scavi archeologici sul posto. Negli anni 1921-24 i francescani fecero costruire l’attuale basilica in linguaggio siro-romano, opera prima dell’ing. Antonio Barluzzi. L’interno della chiesa è a tre navate. L’altare maggiore è sopraelevato, il catino absidale accoglie il mosaico della Trasfigurazione di Cristo. Nella cripta aperta è conservata l’antica abside del tempio costruito al tempo dei crociati. I mosaici della cripta rappresentano le altre quattro trasfigurazioni di Gesù: la sua Nascita, l’Eucaristia, la Morte in Croce e la Risurrezione. Nella cripta sono intervenuti di recente per restauri il vetratista Calogero Zuppardo e l’argentiere Piero Accardi, entrambi palermitani.

Antonio Barluzzi (Roma, 1884-1960) nacque in una famiglia di architetti che da diverse generazioni lavorava per il Vaticano. Dopo essersi laureato in ingegneria alla Sapienza, nel 1912 seguì suo fratello Giulio a Gerusalemme, dove questi aveva l’incarico di progettare l’ospedale italiano. Con l’inizio della prima guerra mondiale ritornò in Italia, ma nell’ottobre 1917 – al seguito di un contingente britannico – Antonio e Giulio tornarono a Gerusalemme. Poco dopo ricevette l’incarico di costruire la basilica sul Monte Tabor. Fu l’inizio di una consistente serie di progetti di costruzioni e restauri che lo fecero restare in Terra Santa fino al 1958, quando a causa di un infarto ritornò in Italia.

Il caso di Barluzzi è davvero insolito. Visse in simbiosi con i francescani della Custodia della Terra Santa. Si impegnò a “respirare” l’aria mistica dei luoghi per ispirarsi nella progettazione delle numerose chiese da lui costruite. Chiese significative, perché custodi di luoghi significativi della vita del Figlio di Dio sulla terra. Mentre si andava affermando (veniva imposto) il minimalismo razionalista, lui cercò linguaggi idonei allo scopo, senza restare del tutto indifferente al canto delle sirene chimeriche del tempo.

Per la Basilica della Trasfigurazione si ispirò alla Basilica Cattedrale della Trasfigurazione, costruita da Ruggero II di Altavilla a Cefalù nel 1131. Il Duomo era stato disegnato su modello carolingio normanno con torri gemelle e avancorpo (westwerk). Ma le torri erano evocative. Rappresentavano Mosè ed Elia, che apparvero accanto a Gesù ai tre apostoli presenti quando Gesù stesso mostrò loro la gloria della sua natura divina e prefigurò il suo corpo glorioso dopo la Risurrezione. Per questa ragione Barluzzi volle che alla base delle due torri sul Tabor ci fossero due cappelle, una per Mosè, l’altra per Elia.

Densa di significati è la scritta attorno al Pantocratore nel catino absidale di Cefalù. «FACTUS HOMO FACTOR HOMINIS FACTIQUE REDEMPTOR + IUDICO CORPOREUS CORPORA CORDA DEUS». «Fattomi Uomo io il Creatore dell’uomo e Redentore della mia creatura, giudico da Uomo i corpi, come Dio i cuori». È una risposta eloquente a tutti gli spiritualisti di ogni epoca, i quali non riconoscono la bontà originale della materia e del corpo umano.

Barluzzi avrebbe voluto dotare la basilica del Tabor di una luminosità interna diafana, con una copertura di alabastro, ma questo non gli venne concesso. Anche così il suo resta un tentativo rilevante di trasfigurare i volumi dell’architettura, trasmettendo la sacralità dei luoghi e dei misteri che vi si celebrano.

In questo agosto torrido, più per le reiterate stragi di civili che per le temperature estive, guardare a quei luoghi può offrire spunti di riflessione per impegnarsi di più a rispettare la dignità di ogni persona umana. Se siamo stati redenti, davvero non c’è che una razza, quella dei figli di Dio. E gli esseri umani dovrebbero trattarsi con l’affetto di consanguinei che non si lasciano irretire da prepotenza, odio e rancore.

Ciro Lomonte

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