L’azienda sanitaria di Palermo dovrà sborsare circa 40 mila euro
Palermo – L’Asp di Palermo rischia di dover pagare rimborsi a pioggia alle strutture sanitarie convenzionate che hanno garantito prestazioni assistenziali durante la pandemia da Covid-19. C’è una sentenza della V sezione civile del tribunale di Palermo che accende i riflettori su un capitolo delicatissimo. Il giudice ha infatti condannato l’Asp di Palermo ad erogare l’indennità Covid a uno studio odontoiatrico che l’azienda sanitaria invece aveva negato, credendo che la legge regionale che prevedeva queste somme, fosse stata abrogata dalla normativa nazionale emergenziale. E invece così non è, secondo il tribunale, e l’Asp dovrà adesso sborsare quasi 40 mila euro tra indennità di funzione Covid e spese legali. La struttura odontoiatrica è stata assistita dagli avvocati Alessandro Palmigiano e Marco Cassata, dello studio legale Palmigiano e Associati.
La vicenda riguarda uno studio medico di Palermo, che da anni svolge attività nella branca odontoiatrica quale struttura specialistica privata accreditata con il sistema sanitario regionale. La legge regionale 9/2020 della Regione aveva previsto che alle strutture accreditate venisse riconosciuto, per ciascun mese e per tutto il periodo Covid, un’indennità di funzione pari a 1/12 del budget assegnato per il 2019 (si trattava sostanzialmente di un sostegno per il lavoro aggiuntivo e costante svolto durante la pandemia).
Ma quando lo studio medico ne ha fatto richiesta all’Asp, si è vista negare queste somme. L’azienda sanitaria di Palermo, avrebbe infatti ritenuto che la legge regionale fosse stata abrogata dalla normativa nazionale emergenziale. In particolare, avrebbe affermato che l’art 4 del DL 34/2020, il quale prevedeva il pagamento di una tantum alle strutture per sopravvivere al periodo della pandemia, avesse fatto venir meno l’impegno della Regione.
La struttura odontoiatrica si è così rivolta allo studio legale Palmigiano e Associati per avviare una causa. Gli avvocati Palmigiano e Cassata hanno contestato la posizione dell’Asp: la norma nazionale non avrebbe mai potuto abrogare la legge nazionale, sia per questioni formali che sostanziali. In particolare, la norma statale citata dall’Asp era una “legge provvedimento”, avente i caratteri della concretezza, che non poteva avere la meglio sulla legge regionale, soprattutto nel caso della Regione Siciliana, con poteri speciali e peculiarità nel settore della sanità. Inoltre, non risultava applicabile al caso, anche nel merito.
Lo studio medico, infatti, non aveva mai sospeso l’attività sanitaria nel periodo emergenziale, continuando ad erogare i propri servizi, così come veniva documentato durante la causa.
Il giudice della V sezione civile del tribunale di Palermo, Emanuela Piazza, ha dato ragione a Palmigiano ed Associati, ritenendo corretto il conteggio relativo al periodo Covid, esprimendosi con queste parole: “Trattasi di un contributo una tantum legato all’emergenza in corso ed erogato dalle regioni e province autonome nelle quali insiste la struttura destinataria di budget, a ristoro dei soli costi fissi comunque sostenuti dalla struttura privata accreditata e rendicontati dalla stessa struttura che, sulla base di uno specifico provvedimento regionale, ha sospeso le attività previste dai relativi accordi e contratti stipulati per l’anno 2020. Conseguentemente, la legge statale non risulta applicabile al caso de quo anche per la mancanza del presupposto oggettivo, ossia la sospensione dell’attività. Ed infatti, l’odierna ricorrente non ha mai sospeso l’attività sanitaria nel periodo di emergenza cui si riferisce la controversia, continuando ad erogare i propri servizi in favore degli utenti”
Sulla base di ciò, l’Asp è stata condannata al pagamento di quasi 40.000 euro tra indennità di funzione Covid e spese legali.
“La sentenza, interpretando in maniera corretta le norme, ha chiarito il diritto delle strutture sanitarie ad ottenere le somme – hanno commentato Alessandro Palmigiano e Marco Cassata –. Gli studi medici convenzionati che hanno garantito l’attività durante la pandemia, possono quindi ancora agire, chiedendo di avere riconosciuto quanto dovuto per il lavoro svolto durante il Covid, affrontando rischi e pericoli”.