Monreale (PA) – Omelia Domenica delle Palme (Monreale, 23 marzo 2024).
Entrare con Gesù nel mistero della croce
«La benedizione delle palme, da cui questa domenica prende il nome, è il rito con il quale abbiamo avviato la processione che ci ha fatto rivivere il solenne ingresso di Gesù in Gerusalemme. Come tutti i segni liturgici, anche il nostro corteo festante, non è fine a sé stesso. Non vuole, semplicemente, farci prendere in mano le palme, gli ulivi, per compiere qualche passo cantando “Osanna al Figlio di David”. La sua intenzione è quella di farci esprimere la volontà di iniziare un cammino insieme a Gesù verso la sua Passione di morte e resurrezione. È quindi un gesto che ci interroga e ci invita: vuoi muovere i tuoi passi entrando con Gesù a Gerusalemme fino al calvario? Vuoi vedere dove finiscono i passi del tuo Dio, vuoi essere con lui là dove lui è? Solo così sarà tua la gioia di Pasqua.
1] Eccoci, dunque, dinnanzi alla pagina del Vangelo che anticipo la meta dell’ingresso a Gerusalemme: il racconto della passione di Gesù secondo Marco. Un testo che non dobbiamo commentare, piuttosto contemplare per decidere come porci dentro il grande Mistero della morte di Dio, nel quale la Settimana Santa ci introduce.
Suggerisco tre attenzioni che aiutino la nostra personale contemplazione, che ci possono aiutare a decidere come vogliamo porci sotto la croce.
- La prima: durante la passione Gesù parla poco. Ha già detto tutto quello che doveva dire, ora sta in silenzio. Tuttavia nonostante questo silenzio, la passione è eloquente, parla da sé, non ha bisogno di parole. Rivela i tratti più profondi di Gesù, quei tratti che ha manifestato in tutta la sua vita e che ora diventano più chiari: l’innocenza, l’incondizionata obbedienza al Padre, la solidarietà con i peccatori, l’abbandono senza riserve all’Amore e la docilità alla volontà del Padre suo.
- La seconda attenzione a cui vi invito è alla solitudine di Gesù nel momento della crocifissone. I passanti, i sacerdoti, i due crocifissi che gli si trovano accanto, lo insultano; i discepoli sono assenti, le donne osservano da lontano. Questa solitudine è tanto profonda che diventa preghiera: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Sulla croce incontriamo la piena umanità di Gesù.
Tuttavia Gesù non è solo. L’evangelista ha disseminato nel racconto diversi riferimenti alle antiche Scritture (Sal 22, Sal 69, Is 53), passi che raccontano l’esperienza dei giusti e dei profeti: uomini smentiti, derisi e messi dalla parte del torto. Gesù fa parte di questa schiera, è in compagnia di tutti i giusti e di tutti i profeti che hanno condiviso la sua stessa sorte misteriosa in cui si sperimenta la lontananza di Dio.
- Gesù muore solo, ma appena morto tutto si rovescia: Dio non abbandona il suo Messia. Il velo del tempio che si lacera dall’alto in basso è un simbolo: il tempio di Gerusalemme è finito, un’epoca nuova si apre; anche un pagano «vedendolo morire in quel modo» dice «davvero quest’uomo era figlio di Dio». L’uomo della croce è riconosciuto come il Figlio di Dio. La storia di Gesù non è dunque finita, ma da questa professione di fede ricomincia.
Ecco allora tre aspetti che ci aiutano ad orientarci sul dove e come porci all’interno del mistero della Passione.
2] Il racconto della passione di Gesù non deve essere vissuto come spettatori che assistono, sia pure con commozione, a un dramma di cui altri sono protagonisti. La processione con i rami d’ulivo ci ha ricordato che siamo in cammino con Gesù, siamo dentro i misteri che stiamo celebriamo e che celebreremo nel Triduo Pasquale, noi siamo fra i personaggi. Ma qual è il nostro ruolo? Quale personaggio ci rappresenta maggiormente? Quale ci provoca e ci chiama a prendere posizione?
Possiamo metterci tra le autorità. Sono quelli che hanno deciso di eliminare Gesù e cercano soltanto un pretesto ragionevole per condannarlo. Lo condannano innocente.
Possiamo riconoscerci in quei servi e soldati che «si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo», scaricando su di lui tutte le loro frustrazioni.
Possiamo metterci accanto a Pilato, che ha una pretesa di obiettività, giudica e riconosce l’innocenza di Gesù, infatti domanda: «Che male ha fatto?». Ma la sua obiettività ha un limite: egli non è disposto a compromettere sé stesso, a mettere in discussione il suo posto e il suo potere. Resta obiettivo fin quando non entra in gioco la sua vita: il suo amore alla verità non giunge sino al dono di sé; egli ama la verità finché il prezzo di questo amore lo pagano gli altri. Così abbandona Gesù al suo destino.
Possiamo porci tra la folla. Questa ha simpatia per Gesù da lui si sente interpretata, ma è perennemente indecisa, facilmente influenzabile dal pensiero e da quello che si dice in giro. Alla fine, si lascia convincere e sceglie Barabba.
Possiamo metterci accanto a Simone di Cirene, egli ha già tanti problemi e si carica la croce di un altro, solo perché costretto dalle circostanze.
Possiamo farci compagni delle donne il cui amore per Gesù impedì loro di scappare ma, dice Marco, «osservavano da lontano», rimasero, cioè, a debita distanza (un po’ come Pietro).
Infine, possiamo stare con i discepoli che, mentre Gesù vive il suo dramma, dormono e poi spariscono completamente dalla scena. I verbi che il Marco utilizza per descrivere il loro comportamento durante la passione sono molto significativi e fanno riflettere: tradire, dormire, abbandonare, rinnegare, osservare a distanza.
Questi sono i personaggi. In quali di essi ci riconosciamo?
Entriamo quindi nella Settimana Santa sentendoci protagonisti, non osservatori, non spettatori di qualcosa che accade. Sentiamoci dentro la storia di Gesù che è la storia di ogni uomo e di ogni donna crocifissa: preghiamo per tutti coloro che sono “inchiodati” alla guerra, alla violenza, alla fame.
Spalanchiamo, come Gesù sulla croce, le braccia del nostro cuore per accogliere, in questo tempo santo, l’umanità intera.
Sostiamo ancora qualche instante in silenzio» (Gualtiero Isacchi, arcivescovo)
Giuseppe Longo