Tamen abiit ad plures (…tuttavia se ne andò tra i piu…)

Cefalù, (Pa) – Prendo in prestito il titolo, che mi pare esplicativo sia del sentito contenuto ad esternarsi che della triste circostanza che lo determina, da Petronio, che nella sua innegabile lungimiranza ha voluto stigmatizzare un concetto proveniente dall’osservazione critica della realtà, una realtà esistenziale spesso amara, sicuramente sofferta, senza dubbio una spada di Damocle che ci sovrasta e che ci atterrisce, ma che dalla quale, pur essa seminando attimi di coinvolgenti entusiasmi, non ci si può affrancare: la vita con le sue innegabili coercizioni e regole.

Essa è stata, è e sarà.

All’apparir del vero, come direbbe il poeta, la constatazione è impietosa: un altro Amico se n’è andato.

Così, in silenzio, alla chetichella. Con la sua solita riconosciuta moderazione, col suo carattere umile e comprensivo, con la sua compiacente affabilità.

Fugit irreparabile tempus!

Un integerrimo professionista dedito alla Famiglia ed al suo lavoro, Cosimo, Il Dr. Cosimo Miceli, cardiologo di chiara fama e specchiata onestà, per me Amico fraterno e punto di riferimento per le mie occasionali occorrenze sanitarie.

Se n’è andato.

Ha raggiunto tanti altri Amici, personaggi di peso nel nostro Comune di Cefalù, che, come Lui, hanno onorato la comunità lasciando un indelebile segno dietro di sé!

Come non ricordare, infatti, i fratelli Notai Giovanni e Samuele Cassata, il Dr. Saro Ilardo, il Barone Angelo Agnello, il Dr. Giuseppe Ferrara, Giovanni e Nello Vazzana e tanti altri, figure che, come meteore, hanno interessato il mio essere arricchendolo col fulgido esempio della loro personalità e cultura.

Oggi, attraverso un calibrato flashback tratto da una ipotetica sceneggiatura di ferro, alla Ejzenstejn, alla Pudovkin, alla Bergmann, per intenderci, ricordo Cosimo assiso alla scrivania del suo studio, qui a Cefalù, tutti i santi giorni della settimana dalle 7 del mattino alle 10 della sera, instancabile e volenteroso; e questo, sia quando qui abitava, che quando, trasferitosi, veniva da Palermo.

Un encomiabile esempio per tutti di costanza e di dedizione all’impegno che si era assunto alla luce dei canoni sanciti da Ippocrate.

Adesso lo Studio è privo della sua presenza fisica, si, ma non del suo spirito, assorbito e metabolizzato con pari senso di responsabilità e d’impegno da Monia, sua figlia, al par di Lui ineccepibile cardiologa, nonché degna e capace prosecutrice dell’attività paterna.

C’è un vecchio adagio, frutto di sapienza consolidata nei secoli, che testualmente recita, nel nostro più puro vernacolo: “…I miegghiu sinni vannu!…”

Ed è proprio questa verità indissolubile che ci penalizza, che ci rattrista, ma dalla quale, per legge naturale, traiamo sostegno e forza per proseguire.

Cosimo ha guarito tanti malati, ne ha alleviato le pene, le sofferenze fisiche e morali con lo specifico della sua arte medica; ma non ha potuto far niente per se stesso. Non ha potuto lottare contro il destino che la natura, madre amorevole e magnanima ma anche terribile cerbera, ci ha assegnato sin dalla nascita.

Ho conosciuto Cosimo più di quarant’anni fa, quando, forse alle prime armi, prestava servizio presso il vecchio ospedale di Cefalù.

Nei nostri conversari non accennava mai di sé, dei suoi possibili problemi; contegnoso e discreto evitava nel più assoluto dei modi di appesantire un dialogo adducendo personali querimonie.

Per la sua innata empatia diventammo subito amici, assieme al di Lui cognato, Dr. Mario Gagliardi, della stessa pasta di Cosimo ed in servizio nello stesso nosocomio. Ci univa anche una certa similarità familiare, attesto che mio padre era anche lui medico.

Le cure di Cosimo, alle quali, come accennato, ebbi l’agio di accedere, non si limitavano soltanto alla sua specifica specializzazione , la cardiologia, ma, filosoficamente, anche ad altri aspetti della vita in generale.

Aveva il dono del saper rassicurare, senza, comunque, disattendere i principi di ippocratiana rimembranza.

Dal tratto signorile e sicuro, era scrupoloso in tutte le manifestazioni dei suoi rapporti con gli altri.

Sapeva contemperare la profonda intuizione specialistica con l’umanità del gesto e della parola.

Aveva un modo di ridere comunicativo e rassicurante. Metteva a proprio agio.

Un signore d’altri tempi trapiantato in una rutilante dimensione umanistica, l’odierna, dove, purtroppo, in certi casi, il pressapochismo ed il desiderio del guadagno di solito allignano ed imperano, tenendo in conto l’arte medica non più come una missione, ma come un modo per crearsi una posizione economica di tutto rispetto.

Ha saputo capire, Cosimo, che la prima urgenza del paziente che si rivolgeva a lui era quella di essere rassicurato circa la gravità della propria patologìa.

Ho perso un caro Amico e me ne dispiace oltremodo; così come, interpretando il sentimento di quanti lo hanno conosciuto ed apprezzato, credo che tutti abbiamo perso qualcosa.

Di Lui restano i figli che rappresentano una proficua propaggine della sua essenza.

E’ estremamente difficile cancellare dalla dimensione del pensiero la reale valenza di un Amico.

Pippo Maggiore

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