Palermo – Qualche settimana fa ho letto un articolo di Tomaso Montanari nel quale sosteneva che dovremmo fare uno sforzo maggiore per uscire dalle nebbie che gravano sul rapporto fra Chiesa Cattolica e arte contemporanea.
In seguito ho trascorso una settimana nella regione angioina della Francia e la bellezza di tanti capolavori del passato mi ha fatto percepire ancora più acutamente la sofferenza implicita nel quesito del professore.
Facciamoci anche noi qualche domanda. Possiamo interrogarci su sei questioni espresse in estrema sintesi.
1. Sacro? Non è vero che l’arte contemporanea sia nata in un contesto di ateismo. È stata influenzata dalla Società Teosofica (per es. De Stijl, culla del neoplasticismo), dall’Antroposofia (che ha condizionato fra gli altri Der Blaue Reiter, alle origini dell’astrattismo), dal Mazdaznan (neoreligione proposta al primo anno di corso del Bauhaus). Si tratta di varie forme di spiritualismo gnostico in aperto contrasto con la dottrina cattolica dell’Incarnazione della Persona del Verbo.
2. Religione? Non è vero che l’arte abbia uno scopo salvifico (questo lo pensano i sacerdoti della nuova arte, lo sosteneva già Piet Mondrian). L’arte è piuttosto la punta dell’iceberg dello stato di salute di una civiltà.
3. Ha senso oggi il figurativo? Sì, è anch’esso “contemporaneo”, in fondo più all’avanguardia di tante ripetitive esercitazioni cerebrali. C’è un museo a Barcellona dedicato agli artisti figurativi di oggi, il MEAM. Ma per produrre opere figurative ci vogliono autentici maestri. È molto laborioso raffigurare un viso, le mani, posture composte. E ottenere la corretta distanza fra l’osservatore e il soggetto rappresentato, specialmente nel caso dell’epifania del divino.
4. Chiese contemporanee? Non è vero – come si dice molto spesso fra i fedeli – che esse siano brutte. Semplicemente non sono chiese cattoliche, bensì templi dello spiritualismo esoterico. Il linguaggio è rigoroso e coerente, ma per altri culti.
5. Il motto di p. Marie Alain Couturier? Il domenicano francese diffondeva nel dopoguerra proclami come questo, dalle pagine de L’Art Sacré: «Meglio un genio senza fede che un cristiano privo di talento». Sarebbe ora di ribaltarlo, anche perché è un sofisma: «Meglio un genio credente che un artista tristemente privo sia di fede sia di talento».
- Serve un ritorno dei committenti alla realtà? Sì, un ritorno alla realtà ed al buon senso, perché il re è nudo. Servono sacerdoti colti che sappiano fare le richieste giuste agli artisti. Servono artisti che servano, che sappiano servire. Come nel Duomo di Monreale. O come qui agli Agonizzanti, dove Giacomo Serpotta rappresenta con la sua inarrivabile maestria i concetti di virtù e di infanzia spirituale – i suoi meravigliosi bambini – che i teologi gli avevano commissionato.
- Ciro Lomonte