L’allarme dello Spi Cgil: “Senza welfare e servizi si condannano le pensionate di domani alla povertà”
Palermo – L’importo medio di una pensione di vecchiaia per una siciliana si aggira intorno agli 823 euro al mese. Un siciliano, in media, ne percepisce 1.326. Un gap che si dilata ulteriormente allargando la lente d’ingrandimento: nel resto d’Italia la pensione media di una donna è di 945 euro, per l’uomo di 1669,18. E ancora, una pensione media di invalidità percepita dalle donne dell’Isola è pari a 578,84 euro, quella degli uomini si attesta su una media di 769 euro. È un quadro impietoso, quello che emerge dallo studio condotto dallo Spi Cgil Sicilia su donne, lavoro e pensioni e presentato questa mattina al San Paolo Palace di Palermo. A discuterne una platea tutta al femminile, dalle componenti della segreteria regionale Maria Concetta Balistreri, Concetta Raia e Roberta Malavasi, passando dalla segretaria della Cgil Gabriella Messina e la responsabile del dipartimento previdenziale Cgil Valeria Tranchina, fino alle conclusioni affidate alla segretaria nazionale dello Spi Cgil Tania Scacchetti. A portare i saluti istituzionali l’assessora regionale Nuccia Albano e la deputata Roberta Schillaci.
“Stiamo accendendo un faro sulla condizione delle donne – osserva Balistreri – perché la posizione previdenziale si costruisce piano piano nel corso di tutta la carriera lavorativa”.
Dati alla mano, il gap nelle retribuzioni tra uomo e donna parte dal mercato del lavoro e arriva fino alla qualità della vita nella terza età. In media, un operaio siciliano guadagna 14.199 euro l’anno, mentre la stessa mansione svolta da una donna è retribuita in media appena 7.545 euro l’anno. Un gap inferiore si trova nella fascia impiegatizia: 24.471 euro annui per gli uomini, 14.573 per le donne. E ancora meno tra i quadri: 59.962 euro annui per gli uomini, 51.858 per le donne. La forbice torna invece larghissima tra i dirigenti: gli uomini percepiscono poco più di 100 mila euro in dodici mesi, le donne appena 54.509.
Per Concetta Raia “parlare di denatalità, spesso in maniera distorta, dando la colpa alle donne se decidono di non avere figli, è falso e sbagliato. Se si vuole favorire la natalità si devono cambiare le politiche di welfare”.
Andare in pensione oggi in Sicilia, per tante e tanti significa ritrovarsi con pochi spiccioli in tasca, praticamente sulla soglia della povertà.
“Le donne e i giovani sono i più penalizzati – aggiunge Malavasi – e lo sono durante la vita lavorativa e di conseguenza per tutto il periodo in cui usufruiscono del reddito da pensione”.
Nel settore privato in Italia nel 2022, a fronte di una spesa previdenziale e assistenziale complessiva di oltre 230 miliardi, per le donne si spendono circa 37 miliardi in meno rispetto agli uomini. Nonostante le pensioni alle donne siano due milioni in più.
“Le pensioni – conclude Scacchetti – sono da sempre oggetto di propaganda in campagna elettorale, in realtà in questo Paese non siamo in grado da anni di riaprire una riflessione seria sulla tenuta del sistema previdenziale, che possa accompagnare le nuove generazioni, superando l’idea comune tra i giovani di non poter accedere a un futuro previdenziale”.
Le testimonianze
Numeri e statistiche oltre i quali c’è la carne viva delle donne. Lo ha raccontato Francesca D’Antoni, bracciante agricola precaria 62enne, vent’anni di lavoro stabile in campo agricolo, interrotto poi dalle gravidanze e dalla maternità. Oggi è tornata a fare la bracciante agricola, ma i contributi non sono sufficienti ai fini pensionistici, nonostante l’età e il lavoro usurante.
A raccontare la sua esperienza è stata anche Marilena Sanfilippo, funzionaria di banca oggi in pensione, mamma e moglie. Una lunga e promettente carriera davanti, fino a quando nel 1983 alla figlia minore viene diagnosticata una grave sordità. Sanfilippo ripercorre il lungo percorso logopedico per l’acquisizione del linguaggio della figlia. Contestualmente, le battaglie sul posto di lavoro per ottenere i tre giorni di permesso previsti dalla legge 104, la richiesta di part time per seguire la famiglia, il ritorno al tempo pieno sei anni dopo, ma la strada ormai sbarrata alla promessa carriera professionale. “È chiaro – osserva Sanfilippo – che tutto questo ha penalizzato fortemente la mia pensione”.