Catania – Prima ancora delle parole, contano i volti. Nell’ampia, e gremita, Sala Congressi dello Sheraton Catania, a ricordare i 100 anni dalla nascita del fondatore di Comunione e Liberazione, don Luigi Giussani, ci sono i volti maturi di uomini e donne segnati dal tempo e quelli freschi e forti di giovani e adolescenti. Li accomuna e traspare, però, una segreta letizia (“nel cuore è quasi un urlo di gioia”, direbbe Sandro Penna), della quale svela la natura Massimo Palumbo, Responsabile catanese di CL e moderatore dell’evento, promosso da Comunione e Liberazione e dalla Fondazione Sant’Agata: “Oggi non siamo qui per una celebrazione del passato. Don Giussani, e il modo in cui lui parlava dell’incontro con Cristo, continuano a commuovere anche oggi”. La lontananza da ogni sottolineatura nostalgica sarà il leit motiv di tutta la serata. Il movimento generato da Dio tramite don Giussani arriva presto in Sicilia, nel 1959, e si sviluppa – valicando ben presto i confini della regione – soprattutto in forza dell’amicizia tra il sacerdote di Desio e don Francesco Ventorino, vulcanico prete catanese.
Di questa eco catanese parla S.E. Mons. Luigi Renna, Arcivescovo di Catania: il Pastore catanese richiama una vecchia lettera di Giussani alla comunità etnea, in cui augurava ai giovani catanesi la “grandezza d’animo che nasce dalla fedeltà”. Questa fedeltà c’è stata, e Renna ne individua tre segni: ecclesialità (cioè attitudine a far strada insieme: numerosissime, in sala, le realtà ecclesiali presenti!), generatività, ovvero la capacità di far sviluppare la vocazione personale di ciascuno, e infine l’attenzione alle tante povertà del nostro territorio, di cui tante opere nate dalla sensibilità di Cl danno prova.
Sullo schermo alle spalle dei relatori scorrono ora le immagini del 30 maggio 1998, in occasione dell’incontro di Giovanni Paolo II con i Movimenti Ecclesiali e le Nuove Comunità. Risuonano, in particolare, le memorabili parole di don Giussani sul “mendicante” protagonista della storia: “Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo!”. Si vede poi il sacerdote, già sofferente per la malattia, avvicinarsi al Papa: lo accompagna, sorreggendolo, proprio Guzmán Carriquiry, allora Sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Laici ed oggi presente in sala tra i relatori.
Evidentemente commosso, Carriquiry rievoca la stagione in cui ha vissuto personalmente “l’irrompere, nella vita della Chiesa, dei Movimenti, che San Giovanni Paolo II definì risposta provvidenziale alle drammatiche sfide di fine millennio. Avevo letto molto (i documenti del Concilio Vaticano II e tanti testi teologici e giuridici) ma l’incontro con don Giussani – spiega Carriquiry – mi rese il volto di Cristo più attraente e coinvolgente”.
Anche Carriquiry, tuttavia, non si ferma al passato e delinea le sfide che investono oggi la vita di Cl: l’unità vista come slancio verso il futuro, l’autorità quale legame di servizio filiale alla Chiesa e la missione. La rievoca tre volte, infatti, “missione, missione, missione!” in questo tempo che è insieme drammatico e propizio.
“Chi mi ha preceduto”, esordisce Davide Prosperi, Presidente della Fraternità di CL e terzo relatore della serata, “non solo ha mostrato conoscenza approfondita di ciò che stava a cuore a don Giussani ma ha indicato con precisione il compito che lui ci ha assegnato. In ciò risiede il vero senso di questo centenario: scoprire cosa Giussani ha da dirci oggi!”.
Anche Prosperi riprende la figura del mendicante e ricorda che la passione per l’uomo che animava Giussani aveva una radice profonda, “la mendicanza della persona di Cristo, che lo portava a una immedesimazione profonda con Lui, con la Sua persona”. Era una immedesimazione “carnale” e colma di gratitudine, iniziata da giovane seminarista e mai più abbandonata. Parafrasando Kafka, Prosperi ricorda che “don Giussani ha mostrato che esiste non solo la meta ma anche la strada. E questa strada è lo stesso Cristo!”.
La serata è finita. La storia continua.