All’Hospice con le iniziative promosse dall’ufficio Diocesano per la Pastorale della salute
Ragusa – “Mi avete restituito alla vita”. Parole semplici. Ma dal profondo significato. Così la testimonianza del signor Carmelo che, dall’hospice dell’ospedale Maria Paternò Arezzo di Ragusa, parla del filo della cura che prosegue il suo cammino, raccontando storie che hanno i colori e i sapori della vita. Il filo della cura, infatti, rappresenta la fiducia, la speranza e la compassione, ha il potere di dare sollievo e raggiungere traguardi inattesi, rappresenta la cura anche quando non si può guarire e l’essere accompagnati anche quando ci si crede soli. L’iniziativa dell’ufficio diocesano di Pastorale della salute sta sensibilizzando e coinvolgendo sempre più persone: rappresenta uomini e donne che loro malgrado si trovano in una condizione di fragilità e che necessitano di supporto e sollievo dai dolori provocati dalle ferite del corpo e dell’anima. “Il filo, infatti – chiarisce la dottoressa Antonella Battaglia, responsabile dell’hospice e vicedirettore della Pastorale della salute – diventa uno strumento per combattere la malattia e la sofferenza e diventa un rifugio che protegge e custodisce, con il dolore che si trasforma e diventa opportunità. Assume varie forme il nostro filo della cura: talvolta è una coperta di lana, talaltra un libro, un canto, una poesia e ieri è diventato un dolce pasquale. Dentro un reparto di cure palliative, il filo della cura è nelle mani del signor Carmelo che, fino a pochi giorni fa, credeva di non avere più tempo; sono bastati una lista della spesa ed un carrello pieno di uova, per riportare Carmelo a fare progetti per sé, a guardare oltre la sua sofferenza e a restituirgli quel tempo che avrebbe voluto intensamente vivere”. In questo modo sono state realizzate delle creazioni culinarie con i simboli della Pasqua. All’appuntamento hanno partecipato, oltre agli operatori sanitari dell’hospice, il direttore dell’ufficio, il sacerdote Giorgio Occhipinti, la segretaria Stefania Antoci, e il cappellano ospedaliero, il sacerdote Salvatore Giaquinta. “In una Quaresima di pandemia e di guerra, dove l’essere umano è vittima e carnefice allo stesso tempo – spiega don Occhipinti – il filo della cura vuole parlare di pace e di rinascita, di cura e di sollievo e grida forte che solo quando si riesce ad essere “umani” si può affermare di essere restituiti alla vita”.