Azioni didattiche in memoria di Annamaria Torno e dell’avvocato Torquato Ciriaco, vittime innocenti della mafia

Lucca – Il Coordinamento Nazionale dei Docenti della disciplina dei Diritti Umani intende ricordare la storia di Annamaria Torno e dell’avvocato Torquato Ciriaco, deceduti il 1° marzo. Entrambi simbolo della legalità e del sacrificio a cui molte persone dedicano la propria esistenza, anche quando intorno non è facile la propria integrità morale, sono stati travolti dalla violenza di una società arretrata e brutale.

La vicenda di Annamaria è veramente toccante: ragazza intelligente, ma con difficoltà economiche, ha sempre lavorato con onestà cercando il proprio riscatto personale con fiducia e coraggio. Si ritrovò nel sottobosco del bracciantato agricolo pugliese, in cui spietatamente i lavoratori venivano sfruttati e collocati in condizioni di vita intollerabili. Era difficile negli anni ’90, e probabilmente anche adesso, denunciare simili forme di prevaricazione, che spesso sono intrecciate con i fenomeni criminali / mafiosi. Annamaria è morta in un incidente automobilistico il 1° marzo del 1996, mentre si recava al lavoro; ma il suo pulmino era pieno oltre misura di braccianti (14 contro i 9 consentiti dalla capienza). Forse in condizioni diverse ci sarebbe stata qualche possibilità di salvezza. Caporali, padroni e criminali hanno deciso per lei come per tanti altri; proprio per questo bisogna rendere omaggio alla sua memoria.

L’avvocato Torquato Ciriaco è stato invece ucciso nel lametino dalla ‘nrangheta, nella tarda sera del primo marzo del 2002, mentre faceva ritorno a casa. Solo nel 2014 si riesce a capire il movente dell’omicidio, riconducibile all’operato dell’avvocato in palese disaccordo con la cosca Anello di Filadelfia, legata alla potente famiglia dei Mancuso di Limbadi. La moglie, Giulia Serrao, in una commovente lettera scritta al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, denunciava le condizioni di illegalità e la mancanza di giustizia diffusa nel territorio calabrese e invocava la verità: “In qualità di avvocato ho sempre creduto nella giustizia e ho fatto di questa la bussola orientativa della mia vita; ma a giudicare di come vanno le cose in Italia, anche i miei stessi principi oggi vengono messi in discussione e mi domando quali siano e se vi siano i principi veri a cui la legalità si ispiri e si conformi.

La famigerata omertà di cui viene investita tutta la regione non riguarda solo la delinquenza; nel mio caso, l’avverto e la sento anche in quegli organi che dovrebbero garantire la legalità. (…) Se a Polistena il nome di mio marito è scolpito tra quelli delle vittime della mafia, a Lamezia dove noi viviamo, fedele al motto “se è stato ammazzato qualcosa avrà pur fatto”, l’ombra sulla sua integrità si allunga minacciosa e incombente; ed è su questa ombra che la pregherei di far luce. (…) E intanto penso che, mentre la legalità si predica ma non si pratica, al contrario la mafia si pratica e non si predica.”

Il CNDDU propone di dedicare alle due vittime spazio per delineare al meglio il contesto in cui maturarono i due delitti. Il bracciantato, come fenomeno economico e sociale, da approfondire insieme alle tematiche della legalità, potrebbe costituire infatti un’UDA che coinvolga più discipline. Interessante sarebbe anche ragionare sull’edilizia abusiva come fattore di fatturato e deturpamento ambientale.

Prof. Romano Pesavento

Presidente CNDDU

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